ESOPIANETA KELT-23ab

ESOPIANETA KELT-23ab

 

Parco Astronomico  “La Torre del Sole” –  Brembate di Sopra (Bg) 

Osservatorio  Astronomico “Resegone Observatory” –  Brumano (Bg)

 

Breve report sulla rilevazione dell’esistenza di due pianeti extrasolari.

 

Tra i tanti interrogativi che per interi decenni hanno impegnato le ricerche degli astronomi, uno tra i più avvincenti riguardava la possibilità di accertare se, proprio come nel caso del nostro Sole, anche intorno alle altre stelle esistessero dei pianeti. Le stelle che ammiriamo come piccoli punti di luce disseminati nel cielo della notte sono infatti corpi celesti del tutto simili al Sole, che invero appare grande e sfolgorante solo perché la sua distanza da noi rispetto agli altri astri è minima. Le stelle sono separate dal Sistema Solare da distanze espresse con il metro degli anni luce e sperare di poter scorgere microscopici dischi planetari annegati nell’abbagliante splendore siderale sembrava un’impresa semplicemente impossibile. In attesa di poterne scoprire uno, si cominciò con il coniare un termine per indicarli: esopianeti, o pianeti extrasolari, perché si parla di corpi celesti che orbitano intorno a stelle che non sono il Sole.

Quali implicazioni potevano derivare dallo scoprire pianeti prigionieri della gravità di stelle lontanissime? Scoprire altri pianeti, oltre ai nostri otto che tutti conoscono, significava principalmente confermare che i processi formativi che li generano sono fenomeni comuni nello spazio, ma permetteva anche di introdurre una seconda questione, di enorme portata. Se esistono altri pianeti, alcuni di essi potrebbero vantare caratteristiche fisiche ideali per lo sviluppo di forme di vita, oggetto di studio di una giovane scienza chiamata esobiologia. Forse la vita stessa è un fatto ordinario nell’Universo, dipanata nelle sue multiformi espressioni in un panorama che potrebbe andare dalle primordiali forme batteriche alle più evolute esociviltà. La scienza non si occupa solamente di scoperte, ma anche di come poterle compiere e un aspetto molto importante della ricerca è quello di individuare nuove strategie d’indagine e di definire nuove tecniche per la raccolta dei dati.

Ad oggi sono stati messi a punto cinque differenti metodi per evincere la presenza di pianeti circolanti intorno ad altre stelle e i due maggiormente impiegati possono essere descritti anche in queste righe. Il più semplice è il metodo del transito. Se nel suo moto orbitale un esopianeta transita prospetticamente davanti alla propria stella, il suo disco ne bloccherà parte della luce, che apparirà per un breve periodo di tempo un po’ più fioca. Si tratta di una variazione di luminosità estremamente modesta, ma sufficiente per far capire agli astronomi che intorno a quella stella c’è un esopianeta. Il 5 ottobre 1995, M.Mayor e D.Queloz, due astronomi dell’osservatorio dell’Alta Provenza, grazie all’impiego di questo metodo poterono annunciare di avere scoperto Dimidium,il primo pianeta extrasolare della storia. Si tratta di un lontano esopianeta simile a Giove, che orbita in circa 4 giorni intorno alla stella 51 Pegasi.

Impiegando la medesima metodologia, due differenti stazioni di ripresa del nostro territorio hanno potuto rilevare la presenza degli esopianeti KELT 23-AB e XO-6B. Il primo si trova nella costellazione del Dragone a oltre 400 anni luce di distanza, mentre il secondo è posto nella costellazione della Giraffa e dista 760 anni luce dalla Terra. I grafici delle immagini mostrano la cosiddetta curva di luce che caratterizza l’andamento della luminosità delle stelle in esame. Come si può osservare, nel corso del transito dei loro esopianeti, il livello della luminosità delle stelle mostra una graduale diminuzione fino a raggiungere un minimo, poi la luminosità delle stelle torna a risalire al valore iniziale quando i transiti si sono conclusi. Dallo studio di queste curve di luce gli specialisti sono in grado di fissare il periodo orbitale degli esopianeti, stimarne la massa e la distanza dalle proprie stelle.

L’aspetto maggiormente interessante di questi rilevamenti consiste nel fatto che sono stati condotti con strumenti che, sebbene di elevata caratura, hanno natura amatoriale, sono cioè attrezzature alla portata di qualsiasi appassionato del cielo. Le straordinarie prestazioni offerte dai moderni sensori digitali applicati ai telescopi, unitamente all’efficacia delle tecniche con cui vengono processate le immagini, ha permesso di raggiungere obiettivi che solo trent’anni fa erano del tutto inarrivabili perfino per l’immensa potenza dei maggiori telescopi del mondo. Una grande soddisfazione per due esperti delle riprese celesti come Massimiliano Zulian ed Efrem Frigeni, due amici che hanno potuto vivere l’emozione di essere proiettati per una notte in uno dei più interessanti settori di punta della ricerca scientifica. Essi sono stati infatti coinvolti nel programma Exoclock ESA, associato alla Missione Spaziale ARIEL.

Ariel è l’acronimo di Atmospheric Remote-sensing Infrared Exoplanet Large-survey. Per quattro anni ARIEL studierà la composizione degli esopianeti, la loro nascita e la loro evoluzione, esaminando un campione diversificato di circa mille pianeti extrasolari, simultaneamente nelle lunghezze d’onda del visibile e dell’infrarosso. ARIEL osserverà esopianeti conosciuti per ottenere i loro spettri e caratterizzarne in tal modo la natura chimica. Affinché questa tecnica sia la più efficiente possibile e per organizzare rilevamenti su larga scala, è necessario avere una buona conoscenza del tempo di transito previsto di ciascun esopianeta. Il gruppo di lavoro ARIEL Ephemerides ha il compito di mantenere aggiornate queste informazioni ed è proprio in questo ambito che i telescopi di piccola e media scala possono contribuire in modo significativo nella raccolta dei dati, attraverso il progetto ExoClock.

Il secondo metodo impiegato per scoprire gli esopianeti, detto dell’oscillazione radiale, riguarda il comportamento della luce della stella candidata a ospitare un esopianeta. La sua presenza condiziona dal punto gravitazionale l’astro centrale, che è costretto a muoversi oscillando avanti e indietro mentre l’esopianeta orbita intorno a lui. Nel corso di questo movimento la luce della stella subirà una variazione del suo colore che ricorda il mutare del tono di una sorgente sonora mentre si avvicina a noi e poi se ne distanzia. La stella apparirà dunque al telescopio un po’ più rossa mentre si allontana da noi e un po’ più blu quando si avvicina, informandoci col suo ritmico variare di colore della presenza di un esopianeta che con la propria massa ne perturba l’assetto.

Dopo le scoperte esaltanti dei primi esopianeti, i successi si susseguirono veloci. Inizialmente si scoprirono pianeti extrasolari della classe del nostro Giove, cioè corpi gassosi di grandi proporzioni, le cui enormi masse influiscono notevolmente sulla velocità radiale delle loro stelle e transitano di frequente davanti ad esse, facilitando così la loro individuazione. Con l’affinarsi delle tecniche e l’impiego di strumenti sempre più performanti, fu presto possibile confermare anche l’esistenza di esopianeti di tipo e taglia terrestre, cioè piccoli e rocciosi, i più interessanti per la ricerca della vita nello spazio. Determinante fu il lancio del telescopio spaziale Kepler, la cui missione si è conclusa nel 2018, progettato per scoprire centinaia di esopianeti anche di taglia terrestre nella sterminata vastità della Via Lattea.

Sebbene sia possibile dedurre la presenza degli esopianeti intorno alle loro stelle, in realtà non siamo ancora stati in grado di osservarli direttamente. Il nuovissimo telescopio spaziale intitolato a James Webb, lanciato il giorno di Natale del 2021 offrirà probabilmente la possibilità di scorgere distintamente questi lontani pianeti e di determinare se presentino un qualche tipo di atmosfera. Con le moderne tecniche di analisi, sarà relativamente facile stabilire la natura delle loro composizioni e sperare così di trovare la presenza di elementi come il metano, l’anidride carbonica o l’ossigeno, prodotti che potrebbero suggerire la possibilità di attività biologica. Proprio in questi giorni il novero degli esopianeti scoperti ha raggiunto la ragguardevole cifra di cinquemila unità, ma siamo solamente agli inizi, le stime indicano in miliardi il probabile numero di pianeti extrasolari presenti all’interno della nostra Galassia.

Se ciascuna stelle avesse il proprio corteo planetario, dovremmo concludere che esistono più pianeti che stelle e la possibilità che là fuori esistano altre forme di vita sconfinerebbe dal perimetro del probabile per approdare a quello della certezza. Per questo affascinante settori di indagine scientifica i prossimi anni saranno certamente forieri di grandi progressi e di entusiasmanti scoperte.

 


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